Buche, crepe, manti sconnessi: sono l’incubo di ciclisti, motociclisti ed automobilisti che percorrono le strade del XXI secolo. E’ recentissima, per esempio, la notizia della voragine che si è aperta in una strada di Roma e che ha letteralmente “inghiottito” due auto parcheggiate lungo il marciapiede...
Eppure c’è una strada che, nonostante i suoi 2.300 anni, sembra quasi immune dal logoramento tanto da presentare ancora oggi, in alcuni tratti, una pavimentazione perfettamente conservata: l’Appia Antica.
Un po’ di storia
La sua costruzione ebbe inizio nel 312 a.C. ad opera del censore Appio Claudio Cieco da cui prese anche il nome: fu, infatti, la prima grande strada il cui nome non derivò dalla funzione (come per esempio la Salaria) o dal luogo di arrivo (come la Ostiense), ma dal costruttore.
L’intento era quello di collegare Roma a Capua per permettere all’esercito romano di raggiungere più velocemente le zone di guerra: siamo nel pieno della seconda Guerra Sannitica e teatro degli scontri è parte dell’attuale sud Italia.
I lavori continuarono anche nei secoli successivi per prolungarne il percorso prima fino a Benevento, poi fino a Taranto ed infine al porto di Brindisi (190 a.C.), fondamentale per i rapporti con l’Oriente: la sua importanza divenne tale da essere definita dal poeta Stazio (I sec. d.C.) “regina viarum”.
Fu un’opera di ingegneria straordinaria, che comportò uno sforzo tecnologico ed economico enorme, per l’epoca: innovativo fu già il progetto perché Appio Claudio Cieco decise di tracciare la nuova strada seguendo la cresta di una colata lavica (quella di Capo Bove) che gli permise di ottenere un percorso più veloce dato che, oltre ad essere più rettilineo, evitava anche i centri abitati. In questo modo era possibile giungere a Capua in cinque o sei giorni (percorrendo circa 195 km), mentre a Brindisi (una volta completato l’ultimo tratto) si arrivava in tredici/quattordici giorni…
L’unico punto in cui fu impossibile tracciare una strada fu in corrispondenza delle Paludi Pontine: qui i viaggiatori dovevano proseguire percorrendo un canale su una barca trainata, lungo la riva, da animali da tiro.
Possiamo dire che era una sorta di autostrada dell’era moderna: era larga circa 4.10 m. così da permettere la circolazione dei carri nei due sensi di marcia; per i pedoni, su entrambi i lati, correvano marciapiedi in terra battuta, delimitati da cordoli. Il profilo era convesso, per permettere all’acqua piovana di scorrere lungo i bordi, così da non allagare la strada, e la superficie era ricoperta da basoli, grosse pietre di basalto ben levigate estratte proprio dalla colata di Capo Bove e, quindi, facilmente reperibili (anche se sembra che, appena costruita, la copertura fosse differente e, anzi, per alcuni, inizialmente si trattava di semplice terra battuta).
E come lungo una moderna autostrada, anche in questo caso si potevano trovare stazioni per il cambio dei cavalli così come luoghi di alloggio e ristoro per i viandanti.
Personalmente, trovo davvero emozionante il fatto che ci siano dei basoli che conservano perfettamente i solchi lasciati dalle ruote dei carri che si sono succeduti nei secoli: permette quasi di vedere e percepire il via vai di persone, merci, animali, dà un sapore profondamente “umano” ad una cosa di per sé inanimata come una strada...
Se poi uno volesse farsi un’idea ancora più precisa di cosa comportasse affrontare un viaggio sulla via Appia, basta leggere Orazio: nel 37 a.C., infatti, fece parte di una delegazione guidata da Mecenate (e voluta dall’imperatore Ottaviano) in viaggio verso Brindisi per incontrare i rappresentanti di Antonio con lo scopo di appianare le divergenze tra i due cognati (Satira V, Libro I).
Ma dove iniziava di preciso?
La via Appia partiva originariamente da Porta Capena (circa 10 minuti a piedi dal Circo Massimo, l’attuale Via delle Terme di Caracalla) dove si trovava anche la prima colonna miliaria della strada: oggi la pietra originale si trova sulla scalinata di Santa Maria in Aracoeli (la chiesa posta accanto al Campidoglio), mentre una copia dell’originale si trova in prossimità del punto in cui inizia oggi l’Appia (a Porta San Sebastiano, a circa un chilometro e mezzo da Porta Capena).
Così recitava (e recita tuttora) l’iscrizione della pietra miliaria:
“L'imperatore Cesare Vespasiano Augusto, Pontefice Maximo, nominato della settima potestà tribunicia, imperatore per la diciassettesima volta, padre della patria, censore, console per l'ottava volta (fece)", e "L'imperatore Cesare Nerva Augusto, Pontefice Maximo, (nominato) della potestà tribunicia, console per tre volte, padre della patria restaurò".
Il Parco della Via Appia
Complici anche (e soprattutto) i numerosi monumenti e tombe posti lungo il percorso, la via Appia divenne presto oggetto di grande interesse per gli amanti delle antichità e per i viaggiatori: l’idea di creare un “parco” per tutelare questo patrimonio risale addirittura a Napoleone, ma si deve a papa Pio IX l’avvio concreto del progetto intorno alla metà del XIX secolo.
Ne fu incaricato un architetto ed archeologo di Casale Monferrato, Luigi Canina, all’epoca Commissario delle Antichità di Roma.
Ne nacque una sorta di passeggiata archeologica il cui aspetto peculiare e caratteristico, con i pini ai lati della strada (esattamente come nella foto del nostro calendario) o, talvolta, i cipressi, si deve agli interventi degli inizi del ‘900.
Oggi “Il Parco Archeologico dell’Appia Antica” ed “Il Parco Regionale dell’Appia Antica” si occupano, l’uno dal punto di vista più monumentale/archeologico, l’altro da una prospettiva più di carattere naturalistico, della valorizzazione di questo imperdibile patrimonio.
CHI E' JOHANN WOLFGANG VON GOETHE
Nato a Francoforte sul Meno nel 1749 (e morto a Weimar nel 1832), è sicuramente noto ai più come scrittore e poeta, ma in realtà studiò praticamente ogni branca dello scibile umano…
Il suo rapporto con l’Italia iniziò a 11 anni, quando i genitori gli fecero studiare l’italiano (il padre l’aveva imparato a suo tempo e, anzi, aveva addirittura tenuto un diario in italiano durante un suo viaggio in Italia) e culminò nel 1786 quando partì per il suo Grand Tour (in gran segreto e con passaporto falso per viaggiare tranquillo).
In Italia rimase addirittura due anni (dal 1786 al 1788) ed il resoconto dettagliato del suo viaggio è contenuto nell’opera “Viaggio in Italia”, 700 pagine suddivise in tre volumi (l’ultimo dei quali interamente dedicato alla sua seconda visita a Roma).
Come italiani, possiamo vantarci del fatto che il soggiorno nel nostro amatissimo Paese ebbe un’influenza incredibile su di lui (anche se, a onor del vero, non annotò solo cose positive) e che proprio in Italia riuscì a concludere i due drammi ”Ifigenia in Tauride” e “Torquato Tasso”.
LE NOSTRE CARTOLINE DALL'ITALIA
Uno degli obiettivi principali, qui Nel Paese delle Meraviglie, è quello di ispirare nuovi viaggi in Italia, tramite una narrazione leggera, "zoomando" all'indietro per abbracciare l'Italia tutta - invece che scendere in mille dettagli e indirizzi di ogni luogo - alla ricerca delle storie che svelano l' unicità di ogni borgo, città o regione.
Le nostre Cartoline dall'Italia sono frutto di una ricerca sugli scrittori, poeti, letterati e viaggiatori più o meno celebri che nel tempo hanno visitato l'Italia e che hanno colto in essaqualcosa di diverso, un aspetto particolare. Questo lavoro si è orientato soprattutto sugli autori stranieri che, un po' come facciamo anche noi con il nostro punto di vista di esperti del turismo internazionale in visita nella nostra Penisola, hanno contribuito al racconto del nostro Paese con uno "sguardo dal di fuori". Spesso solo chi osserva un Paese da un punto esterno ne coglie una fisionomia nuova e sorprendente.
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